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mercoledì 28 febbraio 2018

La linea della felicità


(Stralcio del Lungomare Federico II di Svevia, Gela. Luglio 2017)


In estate mi piace osservare la mia città dal mare. 

La linea della felicità.

Credo che ognuno di noi abbia una visuale di preferenza sulle cose, un balcone sospeso che sceglie di occupare quando gli si chiede di parlare delle cose che ama. 

Il punto è che amare implica conoscenza e, si sa, conoscere davvero qualcosa o qualcuno non è mai così semplice come vorremmo. Significa azzerare le ombre. 
Quando illuminiamo un angolo, però, ne perdiamo un altro. Funziona così. 
Neanche il sole può illuminare tutto contemporaneamente, neppure a mezzogiorno.
Allora, quando mi chiedono di parlare della mia città devo decidere cosa illuminare per gli altri e cosa relegare alla penombra, almeno per quel momento.
Siamo protettivi con ciò che amiamo, io lo sono certamente, e c'è da aggiungere che con le luci faccio fatica. Questo è solo il primo passo. 
Il secondo,in certi casi, è mostrarlo agli altri.
Raccontare qualcosa che si ama è ancora più complicato, specialmente quando ci somiglia, quando il confine è così labile da confondersi.

Noi le costruiamo le città, le abbiamo costruite, e poi loro hanno trasformato noi, così che le loro luci, le loro ombre, finiscono per essere anche le nostre. 

Ricordo che quando ero poco più che un'adolescente una signora mi lesse la mano, giù per strada. Era una cosa che feci per noia, neanche per curiosità, e non prestai molta attenzione alle parole dell'anziana. Mi sfiorava la mano disegnando delle linee e ad un certo punto disse che la mia linea della felicità era lunga e dritta.
Ho osservato più volte la mano e non credo di averla mai trovata. Sembrano tutte abbastanza irregolari e corte.
La spiaggia di Gela, però, vista dal mare è lunghissima e dritta e quando la osservo dimentico tutte le mie stanchezze e i miei dubbi, così ho deciso che se non posso contare sulla mia mano, posso almeno contare su di lei per essere felice. Ogni tanto.


                                                     (La Torre di Manfria, Gela. Luglio 2016)

martedì 27 febbraio 2018

A Truvatura


(Dal Belvedere di Forza D'Agrò, Maggio 2017)


Maggio 2017, praticamente estate. Dobbiamo cercare una casa in affitto per Ciccio che ha trovato un nuovo lavoro nella provincia di Messina.

La sera prima salutiamo gli amici di Gela come se stessimo partendo per New York e la mattina del 2 Maggio siamo già in viaggio. Abbiamo la macchina carica di bagagli perché noi siamo fiduciosi: troveremo subito una casa e potremmo trasferirci subito.Il sole brucia la pelle come se fosse Agosto e all'autogrill dell'A18, mentre sorseggiamo il quinto caffè della giornata, un barista ci chiede dove siamo diretti. Ha sentito che ci stiamo trasferendo (ma davvero?).

"Nei pressi di Sant'Alessio Siculo, qui vicino".

Annuisce come se gli avessimo appena confidato qualcosa che già sapeva. Usciamo dall'autostrada in direzione Taormina e commettiamo il primo errore: a fine mese Taormina ospiterò il G7 e i suoi dintorni sono un cantiere a cielo aperto, dobbiamo tornare indietro e imboccare un'altra entrata. Dopo qualche minuto, dalla strada provinciale che costeggia il mare, intravediamo un'altissima scogliera e, sospeso tra il cielo e il mare, un imponente castello. I cartelli sbiaditi lungo la strada ci informano che siamo giunti a destinazione.


(Lungomare di Sant'Alessio Siculo. Maggio 2017)


La nostra prima ricerca a Sant'Alessio procede frenetica ma priva di successo. Ci spostiamo nella vicina Letojanni, in direzione Taormina. Anche qui, esito negativo. 
Iniziamo a guardarci intorno. Tornati a Sant'Alessio, ad un bar, ci dicono che Forza D'Agrò ("...quel coso lì sopra") ci sono molte case in affitto e che i pullman collegano bene il borgo con i paesini limitrofi. 
Con la macchina ci arrampichiamo per le stradine del promontorio, davanti a noi un tizio con uno scooter sembra sfidare le leggi della gravità e noi lo assecondiamo. Impossibile azzardare sorpassi in quei tornanti. Quando arriviamo su è quasi amore.
Dal belvedere è un esteso manto di verde e di azzurro, puntigliato qua e là dai colori dei fiori primaverili e attraversato dalla SS114, che da qua sopra pare una minuscola arteria musicale. 
Alla pizzeria "Antichi Muri", al centro di una piazzetta medievale, un signore ci racconta una leggenda popolare che la gente del posto conosce con il nome de " I truvature".

I truvature erano dei luoghi nascosti dove erano stati conservati ricchissimi tesori sui quali vigilava l’anima di un defunto, ucciso sul luogo per l’occasione, al quale veniva affidato il compito di proteggere la grande ricchezza. Ancora si raccontava che per giungere al tesoro fosse indispensabile entrare nelle grazie di quest’anima, cercando la "truvatura", ossia il modo di corrompere il guardiano, che a sua volta sperava di essere liberato da questa condanna eterna. 
"Si dice che ogni tanto venisse in sogno alla gente per dare loro indicazioni su come arrivare al tesoro. Però era difficile lo stesso, perchè spesso si dovevano riunire tutte le persone che avevano fatto lo stesso sogno" e spinge indietro la mano ridendo e sospirando. 
"Signorì, cu cerca sordi cerca guai. Pì mìa a truvatura  è chista", allarga le braccia di fronte a sè e le rughe intorno agli occhi si arricciano in un sorriso che parte da dentro.
"Famiglia, silenzio, buon cibo, arte, mare e aria fresca, chiste su i truvature, se lo faccia dire da me che sono vecchio".


Un'ora dopo, mentre osserviamo le sottili increspature del mare di sotto e il vento ci accarezza, tra uno sbadiglio ed un abbraccio, penso a quanto abbia ragione il vecchietto. E mi godo a truvatura.



(L'Arco Durazzesco e la Chiesa della Santissima Trinità,
 Forza d'Agrò.
Maggio 2017)

(Dal Belvedere di Forza D'Agrò, Maggio 2017)

Per conoscere meglio le bellezze di Forza d'Agrò consultare il sito: http://www.forzadagro.net/



lunedì 26 febbraio 2018

Dai tetti di Palermo

(Dai tetti della Cattedrale di Palermo, Ottobre 2017)

(Dai tetti della Cattedrale di Palermo, Ottobre 2017)

(Tetti della Cattedrale di Palermo, Ottobre 2017.
Foto di Maria Luisa Sanfilippo)
 Quando mi fermo in un angolo della città e alzo lo sguardo i tetti mi sembrano l'unico confine possibile con il cielo.

Quando sono salita la prima volta su un tetto a Palermo, la città che mi ha ospitato per sei emozionanti anni, era notte. Credo si trattasse di una fresca notte del Dicembre del 2013. Un'amica ci disse di seguirla a casa sua dopo una festa. La casa era in una delle strade del centro storico, a due passi dalla cattedrale. Ci arrampicammo per le scale di quell'antico e freddo palazzo continuando a commentare la festa e a ridere. Prima di aprire la porta ci disse chiaramente che casa sua era un tremendo caos e che avremmo potuto fumare in cucina.

"Ma se volete, potete andare in terrazza!"

Ebbene, la prima sigaretta la consumammo al caldo del divano, tra una birra sottocosto e un digestivo alla liquirizia, la seconda decisi invece di fumarla qualche minuto più tardi in terrazza. 
                                    
Eccola Palermo.
          
Una delicata distesa di luci, di ombre appannate, di dettagli censurati dal buio e di insolite rivelazioni.
La costa frammentata sembrava più vicina, Monte Pellegrino sembrava un anziano che fissa da lontano i nipotini giocare a nascondino.
In quel preciso istante, sporgendomi oltre il parapetto di pietra, pensai a quanto fosse diversa e misteriosa Palermo vista da quel tetto pieno di crepe. Guardai verso il basso e mi sembrò di poterla afferrare e contemporaneamente realizzai che mi sarebbe comunque sfuggita. Dai tetti si poteva guardare anche verso l'alto senza comunque perdere di vista la città. I monti si stagliavano pigramente intorno a noi, il cielo sembrava suggerire cosa stesse accadendo di sotto e la sensazione era contrastante, come se la città fosse stata esclusa dal mondo.

Dicono che un silenzio così si ascolta poche volte nella vita. 

Nel corso degli anni successivi fui molto fortunata perché mi capitò di sentirlo ancora ma non posso testimoniarlo perché nessuna foto, nessun video o registrazione sono in grado di catturare certi tipi di silenzio.

Qualche anno dopo quella sera il proprietario della casa in cui vivevo disse a me e alle mie coinquiline di allora che avremmo dovuto lasciare la casa perché intenzionato a vendere. Iniziò una tortuosa e stancante ricerca del nuovo appartamento da dividere, non senza imprecazioni di ogni tipo e piani di vendetta poi sfumati. Quando stavamo per perdere le speranze ecco che Cristiana mi disse che avremmo potuto visitare un appartamento in centro che prometteva bene. La casa non era un granché, le foto avevano ingannato le nostre aspettative ma ci fu un particolare che catturò l'attenzione di entrambe e ci mise in crisi per qualche ora: la terrazza.
Si snodava tra i vicoli, si sporgeva sui tetti vicini e da lì era possibile vedere tutte le cupole di Palermo. Inutile dire che passammo le seguenti ore a ragionare sui pro e i contro e  che la lista dei pro continuava a mantenere un solo punto, il tetto appunto. Fu comunque una delle visite più piacevoli che caratterizzarono quella ricerca disperata e ogni tanto immagino i nuovi inquilini fare colazione lì, beatamente rilassati, mentre mangiano una granita al limone e sorseggiano del caffè tiepido. 

Ma sui tetti di Palermo sono salita ancora, di sera, di giorno, al tramonto, ma anche all'alba. 

Dai tetti si dovrebbe sovrastare la città, succede così in quasi tutte le parti del mondo, non a Palermo. Dai suoi tetti catturi ciò che di più profondo e indefinito possa offrirti questo lembo di terra, così che quando scenderai giù non potrai più abbandonarla.

Come quel pomeriggio di Ottobre in cui guardai Maria Luisa e "Ma saliamo sul tetto della Cattedrale?".
Marilù è la compagna perfetta per questo genere di avventure, non dice mai di no, anzi è sempre entusiasta. Potresti proporle di prendere un aereo last minute per l'Islanda mentre è in atto una tormenta di neve o uno tsunami e ti direbbe comunque sì. Non per niente è mia amica. Fu un pomeriggio pieno di scoperte. Ci sorprese il crepuscolo mentre scattavamo l'ennesima foto continuando a ripetere quanto fosse immensa la nostra città.

Dai tetti di Piazza San Domenico, da quelli del Monastero di Santa Caterina, dal tetto della Torre di San Niccolò, da quelli che costeggiano le piazze e i mercati rionali, dai balconi pieni di crepe, quando andrete a Palermo salite su un tetto, il più alto che trovate, e cercate quel silenzio di cui vi parlavo.

Ma se volete un consiglio sincero, ascoltate: salite sopra il Monte Pellegrino di notte, è quello l'unico tetto da cui sentirete scorrere come un brivido sulla pelle una delle Palermo più autentiche.


N.B: I tetti della Cattedrale di Palermo sono visitabili ogni giorno dietro il pagamento di una piccola cifra. Occasionalmente è possibile visitarli anche durante le ore dopo il crepuscolo. Per gli altri tetti noti allego i link di riferimento dove è possibile trovare orari, costi del biglietto e offerte:





           
(La Cattedrale di Palermo di notte. Foto di Chiara Mancino)


(Dalle terrazze di Piazza San Domenico. Novembre 2017)

(I tetti della Cattedrale di Palermo. Foto di Angela Sirugo)

(Piazza San Domenico vista dalle Terrazze della Rinascente.
Foto di Angela Sirugo)

(Sui tetti del Centro Storico, Febbraio 2016.
Foto di Cristiana Cucciardi)

(Dai tetti del Centro Storico. Foto di Margy Sakura)


























(Dai tetti del Centro Storico. Foto di Margy Sakura)




















(Piazza San Domenico dalle Terrazze della Rinascente. Novembre 2017)
(Dai balconi del Mercato del Capo. Maggio 2017)

(Dai tetti della Cattedrale. Ottobre 2017)

(Dai tetti della Cattedrale di Palermo, Ottobre 2017)

(Dal tetto naturale di Palermo: Monte Pellegrino.
Foto di Chiara Mancino)

(Il Teatro Politeama dai tetti. Foto di Chiara Mancino)



(Dai tetti della Cattedrale. Ottobre 2017)

(Dai tetti di Piazza Castelnuovo. Foto di Chiara Mancino)


(Dai tetti del Monastero di Santa Caterina.
Foto di Massimo Arculeo)




















































(Dal tetto del Monastero di Santa Caterina,
Palermo, Autunno 2017. Foto di Massimo Arculeo)

(Dai tetti della Cattedrale di Palermo, Ottobre 2017)

Duci e amara

(Gela, Contrada Borgo Manfria. Agosto 2017)


"A Gela la mattina mentre piove guardi il mare e le immense dune di sabbia che ti sembra di vivere in un deserto allegro. 
Tra i vicoli del centro storico corre una brezza umida, la fontana della piazza emette pigri sbadigli d'acqua. Sorridere costa poco e mentre si arranca il sole sbiadisce le facciate dei palazzi consumati dalla salsedine.

Se esci la sera, anche solo, troverai comunque un amico o un conoscente, rintanato da qualche parte come te, pronto a condividere la sua birra e il suo tempo.

Gela è la mia terra, è duci e amara, è proprio come quelle fidanzate che credi di detestare perché ti sembra che ti 'ffucano ma che quando lasci non vedi l'ora di riabbracciare e farci l'amore.
È un pò tossica e zoppicante, la immagino come una donna orfana di figli: non sa neanche lei perché se ne sono andati e perchè continuano ad andarsene.
Quelli che tornano lo fanno per poco e nei loro occhi è un concerto di nostalgia e rabbia.
"Che ti abbiamo fatto? Che ci siamo fatti?"
Le ciminiere sono spente, non servono più a niente e invece restano.


Io t'amo come quando la sera s'arruste con gli amici e l'odore è quello forte che anche se puzza ti sembra di aver afferrato la vita un attimo prima che precipitasse dalla scarpata.
Quanto ti abbiamo ferita e lo faremo ancora, ma sei la nostra terra ed un giorno riavrai la casa piena di figli che t'amano perché smetteranno di andar via, di ammalarsi, di morire e l'unica da salvare sarai tu."

(Montelungo, Gela. Giugno 2017)

domenica 25 febbraio 2018

Il tempo in Sicilia


(foto scattata a Corleone, Settembre 2017)


Il tempo in Sicilia probabilmente non esiste, acquista una dimensione talmente legata alle costruzioni sociali da perdere inesorabilmente i suoi legami con la fisica.

Non siamo nel tempo, è il tempo che è in noi.

La mattina il caffè non lo bevi per strada mentre cammini e parli al telefono, lo bevi al bar, spesso il solito, o in cucina, mentre in Tv scorrono le immagini e le voci di ogni giorno. I negozi, le palestre, le SPA e le botteghe non aprono all'alba ma a quell'ora si avverte il brusío della panificazione diffondersi tra le vie, accompagnato dall'odore dei cornetti appena sfornati.

Ogni ora qui hail suo profumo. 

Al mercato cittadino s'abbannía, dai balconi delle strade è un continuo e fiacco parlottìo, come stai, che hai fatto, vuoi il caffè?

Ogni momento ha il suo suono.

Dopo il lavoro si può mangiare con calma, masticare bene, un altro caffè, le chiacchiere ripetute spezzate da qualche sghignazzo dei giovani in piazza. Poi si riposa mezzoretta.

C'è ancora l'odore del caffè per la casa. Da qualche parte senti dei ragazzini giocare a calcio contro le saracinesche dei garage. Non è tardi, qualcuno passa l'aspirapolvere, il bucato da ritirare non è ancora completamente asciutto e pende dai fili dei balconi. Non c'è timidezza tra vicini.

Sono forme di silenzio atipiche, che solo chi è abituato può percepire come tali.
Ci si sveglia, un altro caffè e si va a lavoro.
Mentre vai incontri sempre qualcuno che conosci e ti vuole offrire un altro caffè. La sera gli abbracci durano di più, si cucina di nuovo, ancora odori che si mischiano a quelli del giorno, la vicina che parla al telefono con la sorella, il tamburo delle stoviglie in sottofondo, qualche risata improvvisa spezza il ritmo, qualche colpo di clacson.
Quando chiudi gli occhi non è ancora finita.
Il tempo non è più assoluto, 24 ore possono essere due giorni, due giorni 24 ore, la lentezza non incespica, è cosi armoniosa da sembrare una poesia recitata a bassa voce dagli aedi del passato. Correre qui ha un altro senso, un'altra direzione, somiglia a una meravigliosa passeggiata.

In Sicilia il tempo si ferma al tramonto, all'improvviso, perché è quello il posto in cui si è fermata la Sicilia, a metà delle cose, nelle linee colorate dell'orizzonte. Appollaiato sulle corde dei tralicci delle strade di provincia. Qualche volta ti investe la brezza e senti che non è di oggi.


In Sicilia il tempo non è come lo conosceva Einstein.

Sicilia Felicissima

(Foto scattata tra i binari che dividono Terrasini e Cinisi. Maggio 2015)
Di pomeriggi uggiosi e lenti ne ho trascorsi pochi, lo ammetto, eppure non è questo il motivo per il quale ricordo perfettamente quel 25 Settembre del 2010.
Diciannove anni, siciliana ma nel Regno Unito, per l'esattezza ad un tavolo della caffetteria di un affollato centro commerciale. Potrei giurare che ci fossero 5 gradi. Meditavo sulla possibilità di chiedere in prestito quel terribile tappeto di Mammut che il negozio di fronte esibiva come un pezzo d'antiquariato alla vetrina est, però niente, non parlavo ancora l'inglese e l'idea di palesarlo davanti  a dei perfetti sconosciuti mi creava qualche strana forma di disagio. Appunto, diciannove anni.
Mi trovavo in Regno Unito da soli tre giorni e avrei dovuto trascorrere lì altri sei mesi ma non conoscevo ancora nessuno così quando due ragazze apparentemente inglesi si sedettero al mio tavolo pensai che avrei potuto mettere a segno la prima conoscenza. 
Erano italiane.
Me ne accorsi dopo appena tre minuti perché, nonostante non avessero aperto bocca, dalla borsetta semichiusa di una delle due si intravedeva una copia stropicciata e malconcia della Settimana Enigmistica. 
-Italiane?- chiesi con allegria isterica mentre cercavo lo sguardo di una delle due.
Comunicavo gesticolando da tre giorni e sebbene non mostrassi particolari difficoltà in questa attività mi mancava un po' sentire la mia voce.
La più bassa sollevò lo sguardo e sorrise.
Insomma, ci scambiammo le solite frasi di circostanza che gli italiani che si trovano all'estero si dicono di solito e poi  mi chiesero di dove fossi.
E glielo dissi, forse ingenuamente, addirittura sorridendo.
Fu la prima volta che mi trovai di fronte all'esitazione così plateale di qualcuno che non conoscevo. Come se avessi lanciato delle vecchiette contro gli autobus in corsa nella strada principale cantando Pavarotti. 
Esitazione che non mi ferì subito, ma solo la sera.
Si, continuammo a parlare ma poi loro andarono via e non diventammo mai amiche. Tornando a casa senza il mio desiderato Mammut pensai a lungo a quella fastidiosa sensazione che mi accorsi di aver provato dopo aver pronunciato la parola "Sicilia". Negli anni successivi, mi capitò di provarla in tutte le sue forme molecolari. A volte la gente rispondeva con dei sorrisi di circostanza, a volte con sarcasmo, altre con la sigla del Padrino o esclamando "Mafia!", altre volte dovetti fronteggiare lo scherno, l'indifferenza, ma fu sorprendente quando dovetti fronteggiare l'interesse, la curiosità. Fu quel giorno però che capii quanto odiosa possa essere l'ignoranza affiancata da una buona dose di stereotipo. Mi arrabbiai contro la filmologia commerciale che aveva diffuso incautamente e con una narrazione disattenta e poco responsabile certe storie del passato della mia terra e solo dopo qualche anno mi resi conto di quanto fosse indispensabile contaminare le persone con le nostre storie. Mi resi conto che contaminare i luoghi e le persone che incontravo avrebbe piano piano contribuito ad ammorbidire e rendere più flessibili certi stereotipi storici sulla Sicilia e i siciliani. E sono certa che questo abbia caratterizzato la vita di molte altre persone che, come me, si trovano spesso in giro per il mondo e l'Italia.

Non esiste una linea narrativa comune sulla Sicilia, non esiste una narrazione ideale degli eventi perché non è possibile narrare la Sicilia e i siciliani partendo dal classico "C'era una volta", né tanto meno è possibile creare una cronologia completa della storia di questa terra. Le storie di nicchia, i piccoli vissuti collettivi e individuali, le storie note, tutto in un unico caleidoscopio che non deve necessariamente essere compreso, ma semplicemente percepito.

Sì, è vero, sono andata via spesso, ma ciò che ho sempre amato dei miei viaggi è stato il ritorno. Quel momento in cui dall'aereo intravedo le prime luci delle città, il primo lembo di costa, l'Etna nella sua maestosità, e posso avvertire il profumo delle acetoselle della campagna siciliana, il rumore delle foglie scosse dal vento tra gli aranceti, questo è per me un istante d'amore, un abbraccio materno. 
Alle persone che amo dico sempre " Ti porterò la Sicilia, un giorno", e quando loro mi rispondono "Ma siamo già in Sicilia!", sorrido come immagino possa sorridere un serpente: "Non in Sicilia, in questo spazio, ti porterò la Sicilia".

Quello che ho intenzione di fare in questo blog.