(Foto scattata tra i binari che dividono Terrasini e Cinisi. Maggio 2015) |
Di pomeriggi uggiosi e lenti ne ho trascorsi pochi, lo ammetto, eppure non è questo il motivo per il quale ricordo perfettamente quel 25 Settembre del 2010.
Diciannove anni, siciliana ma nel Regno Unito, per l'esattezza ad un tavolo della caffetteria di un affollato centro commerciale. Potrei giurare che ci fossero 5 gradi. Meditavo sulla possibilità di chiedere in prestito quel terribile tappeto di Mammut che il negozio di fronte esibiva come un pezzo d'antiquariato alla vetrina est, però niente, non parlavo ancora l'inglese e l'idea di palesarlo davanti a dei perfetti sconosciuti mi creava qualche strana forma di disagio. Appunto, diciannove anni.
Mi trovavo in Regno Unito da soli tre giorni e avrei dovuto trascorrere lì altri sei mesi ma non conoscevo ancora nessuno così quando due ragazze apparentemente inglesi si sedettero al mio tavolo pensai che avrei potuto mettere a segno la prima conoscenza.
Erano italiane.
Me ne accorsi dopo appena tre minuti perché, nonostante non avessero aperto bocca, dalla borsetta semichiusa di una delle due si intravedeva una copia stropicciata e malconcia della Settimana Enigmistica.
-Italiane?- chiesi con allegria isterica mentre cercavo lo sguardo di una delle due.
Comunicavo gesticolando da tre giorni e sebbene non mostrassi particolari difficoltà in questa attività mi mancava un po' sentire la mia voce.
La più bassa sollevò lo sguardo e sorrise.
Insomma, ci scambiammo le solite frasi di circostanza che gli italiani che si trovano all'estero si dicono di solito e poi mi chiesero di dove fossi.
E glielo dissi, forse ingenuamente, addirittura sorridendo.
Fu la prima volta che mi trovai di fronte all'esitazione così plateale di qualcuno che non conoscevo. Come se avessi lanciato delle vecchiette contro gli autobus in corsa nella strada principale cantando Pavarotti.
Esitazione che non mi ferì subito, ma solo la sera.
Si, continuammo a parlare ma poi loro andarono via e non diventammo mai amiche. Tornando a casa senza il mio desiderato Mammut pensai a lungo a quella fastidiosa sensazione che mi accorsi di aver provato dopo aver pronunciato la parola "Sicilia". Negli anni successivi, mi capitò di provarla in tutte le sue forme molecolari. A volte la gente rispondeva con dei sorrisi di circostanza, a volte con sarcasmo, altre con la sigla del Padrino o esclamando "Mafia!", altre volte dovetti fronteggiare lo scherno, l'indifferenza, ma fu sorprendente quando dovetti fronteggiare l'interesse, la curiosità. Fu quel giorno però che capii quanto odiosa possa essere l'ignoranza affiancata da una buona dose di stereotipo. Mi arrabbiai contro la filmologia commerciale che aveva diffuso incautamente e con una narrazione disattenta e poco responsabile certe storie del passato della mia terra e solo dopo qualche anno mi resi conto di quanto fosse indispensabile contaminare le persone con le nostre storie. Mi resi conto che contaminare i luoghi e le persone che incontravo avrebbe piano piano contribuito ad ammorbidire e rendere più flessibili certi stereotipi storici sulla Sicilia e i siciliani. E sono certa che questo abbia caratterizzato la vita di molte altre persone che, come me, si trovano spesso in giro per il mondo e l'Italia.
Non esiste una linea narrativa comune sulla Sicilia, non esiste una narrazione ideale degli eventi perché non è possibile narrare la Sicilia e i siciliani partendo dal classico "C'era una volta", né tanto meno è possibile creare una cronologia completa della storia di questa terra. Le storie di nicchia, i piccoli vissuti collettivi e individuali, le storie note, tutto in un unico caleidoscopio che non deve necessariamente essere compreso, ma semplicemente percepito.
Sì, è vero, sono andata via spesso, ma ciò che ho sempre amato dei miei viaggi è stato il ritorno. Quel momento in cui dall'aereo intravedo le prime luci delle città, il primo lembo di costa, l'Etna nella sua maestosità, e posso avvertire il profumo delle acetoselle della campagna siciliana, il rumore delle foglie scosse dal vento tra gli aranceti, questo è per me un istante d'amore, un abbraccio materno.
Alle persone che amo dico sempre " Ti porterò la Sicilia, un giorno", e quando loro mi rispondono "Ma siamo già in Sicilia!", sorrido come immagino possa sorridere un serpente: "Non in Sicilia, in questo spazio, ti porterò la Sicilia".
Quello che ho intenzione di fare in questo blog.
come è finita? Amore corrisposto?
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