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lunedì 26 febbraio 2018

Duci e amara

(Gela, Contrada Borgo Manfria. Agosto 2017)


"A Gela la mattina mentre piove guardi il mare e le immense dune di sabbia che ti sembra di vivere in un deserto allegro. 
Tra i vicoli del centro storico corre una brezza umida, la fontana della piazza emette pigri sbadigli d'acqua. Sorridere costa poco e mentre si arranca il sole sbiadisce le facciate dei palazzi consumati dalla salsedine.

Se esci la sera, anche solo, troverai comunque un amico o un conoscente, rintanato da qualche parte come te, pronto a condividere la sua birra e il suo tempo.

Gela è la mia terra, è duci e amara, è proprio come quelle fidanzate che credi di detestare perché ti sembra che ti 'ffucano ma che quando lasci non vedi l'ora di riabbracciare e farci l'amore.
È un pò tossica e zoppicante, la immagino come una donna orfana di figli: non sa neanche lei perché se ne sono andati e perchè continuano ad andarsene.
Quelli che tornano lo fanno per poco e nei loro occhi è un concerto di nostalgia e rabbia.
"Che ti abbiamo fatto? Che ci siamo fatti?"
Le ciminiere sono spente, non servono più a niente e invece restano.


Io t'amo come quando la sera s'arruste con gli amici e l'odore è quello forte che anche se puzza ti sembra di aver afferrato la vita un attimo prima che precipitasse dalla scarpata.
Quanto ti abbiamo ferita e lo faremo ancora, ma sei la nostra terra ed un giorno riavrai la casa piena di figli che t'amano perché smetteranno di andar via, di ammalarsi, di morire e l'unica da salvare sarai tu."

(Montelungo, Gela. Giugno 2017)

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