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(Scala dei Turchi, Realmonte. Foto di Andrea di Benedetto) |
Una mattina dell'agosto del 2009. Gita fuori porta. Partii da Gela insieme alla mia famiglia, ai miei zii e ai miei cugini, direzione: Scala dei Turchi. Inutile dilungarsi sull'afa di quel giorno e su quanto avvenne durante il viaggio (sì, abbiamo sbagliato strada almeno due volte), perché quel che conta è cosa trovammo al nostro arrivo.
Non ero mai stata in questa zona e, lo devo dire, me ne pentii immediatamente.
Una falesia bianca, a strapiombo sul mare, così candida da sembrare panna montata ad arte. Dal parcheggio sembrava una nuvola caduta per terra.
Non ricordo di aver fatto neanche il bagno perché il mio unico interesse era quella dannata falesia.
Camminarci sopra non era per nulla agevole, la marna scottava talmente tanto che anche sedersi costituiva un atto di coraggio, ma alla fine, con qualche dolore, riuscii nell'impresa. Il nome di questa falesia è dovuto alla sua forma (appunto quella di una scala) e ad alcuni racconti: si dice che intorno al '500 i corsari saraceni, dopo aver ormeggiato le proprie imbarcazioni ai suoi piedi, arrampicandosi per la marna bianca, riuscirono più volte a raggiungere i villaggi circostanti per razziarli e tornare a casa con ricchi tesori.
Poi giù, tra le onde blu del mare e all'ombra della Scala, notammo una roccia solitaria di marna bianca. In quel momento un signore raccontava ai suoi compagni la sua storia. Lo chiamano "u scoglio do zitu e a zita", perché una leggenda popolare attribuisce la sua presenza lì, in quell'esatto punto, alla storia tragica di due giovani innamorati, Peppe e Rosalia, il cui amore fu fortemente osteggiato dal padre della ragazza. I due innamorati riuscirono comunque a incontrarsi un'ultima notte sulla punta della Scala dei Turchi dove si giurarono amore eterno, gettandosi mano nella mano in mare e scomparendo tra le onde e la bonaccia.
Racconta la
leggenda che dopo alcuni anni, proprio lì, spuntarono due scogli tenuti insieme
da una lingua di pietra e che alcuni pescatori, nelle notti di bonaccia
sentirono spesso il dolce sussurro di un canto di donna.
Le coste della mia terra sono ricche
di falesie che interrompono il flusso del mare, di finestre che sembrano
precipitare verso il basso. Qualsiasi borgo, contrada, paese e città di mare ne
possiede una.
Le puoi scalare, ci puoi dormire, sognare,
e da lì il suono del mare è più chiaro e sincero. Bisbiglia, mentre le reti dei
pescatori sfilacciate dalla salsedine vengono raccolte con stanchezza, mentre
una piccola barca scorre verso il porticciolo. Oppure mentre la solitudine
sembra tanta ed invece non è altro che silenzio vivo.
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(Dalla riserva di Isola Bella. Maggio 2017) |
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(Isola Bella, finestra naturale sul mare. Giugno 2017) |
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(Spiaggia di Gela. Luglio 2016) |
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(Piscine di Pisciotto. Agosto 2016) |
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(Isola delle Femmine. Giugno 2017) |
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(Costa di Mazzarò. Giugno 2017) |
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(Mondello, Palermo. Febbraio 2015) |
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(Montelungo, Gela. Aprile 2016) |
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(Mondello, Palermo. Marzo 2013) |
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(Montelungo, Gela. Febbraio 2015) |
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(Riserva di Isola Bella, Percorso Acacie. Maggio 2017) |
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(Dalla Villa Comunale di Taormina. Maggio 2017) |
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(Falesia di Sant'Alessio Siculo. Maggio 2017) |
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(Falesia di Mazzarò. Giugno 2017) |
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(Mazzarò. Giugno 2017) |
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(Grotta azzurra, Mazzarò. Giugno 2017) |
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(Punta Bianca. Foto presa dal web) |
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