(La Vucciria, Piazza Caracciolo, Palermo) |
Quella sera l'afa era insopportabile a Palermo e noi camminavamo con passi sbilanciati e rumorosi tra le viuzze del centro. Le balate erano ancora calde nonostante il sole fosse tramontato da molte ore, e la gente sventolava fogli di carta e ventagli per dare apparente sollievo al viso. I locali erano zeppi di gente che mangiava, beveva e discuteva facendo un gran baccano. Era giugno e gli esami non erano ancora finiti, però da qualche parte ci era rimasta un pò di energia per camminare dopo il tramonto e una disperata voglia di musica e allegria. Eravamo un bel gruppetto e nessuno di noi sembrava occupato da altri pensieri, eravamo lì pienamente.
Mi ricordo di te Ahmed. Credo fosse quello il tuo nome. Eri così esile da confonderti tra la folla e i lampioni, mentre tra le mani stringevi un sacchetto di plastica rovinata e le tue spalle erano ricurve sotto il peso di uno zaino che aveva tutta l'aria di pesare più di te. I tuoi occhi guizzavano in quel trambusto alla ricerca di quelli delle altre persone. Ti abbiamo visto in pochi, probabilmente gli occhi di tanti ti hanno attraversato, ma solo qualcuno è riuscito a vederti veramente. Succede alle persone distratte o a quelle troppo concentrate su altro. Ti ho visto esattamente mentre prendevi posto ai bordi del marciapiede di pietra bollente e con una mano ti toccavi il collo ripetutamente. Ti ho riconosciuto immediatamente, perché è quello che faccio io ogni volta che provo disagio e non so cosa fare. Torturo con le dita la pelle del collo e piego leggermente la testa. E mentre pensavo a questa cosa l'hai rifatto: hai piegato anche tu la testa. Ad un certo punto ci hai visto anche tu, a quel muretto di fronte a te, tanti ragazzi sicuramente più grandi di te, con la birra, le sigarette, i telefonini, intenti a scattare foto e a parlare a voce alta. Non hai incrociato il mio sguardo subito, perché sei rimasto ancora un altro pò con te stesso, a pensare a chissà cosa. Ti sei avvicinato con un sorriso che hai tirato su all'improvviso. Non capivo quanto stessi fingendo e ho aspettato che tu ci raggiungessi.
Ci hai chiesto se volessimo comprare delle cover per il telefono e noi non ti abbiamo risposto subito perché avevi al collo una collana bellissima di legno e Chiara ti aveva chiesto se ne avessi un'altra da venderci. Dicesti no, che quello era un regalo e che però ne avevi delle altre.
Mentre ci mostravi le tue cose ti sei seduto nel muretto vicino a noi e la tua allegria ci ha incuriositi. Eri piccolo allora, Ahmed, tredici anni, mentre adesso avrai l'età per guidare una macchina. Allora i tuoi polsi erano così sottili da sembrare delle spighe e la tua voce non era ancora quella degli adulti. Ci hai raccontato della tua fidanzatina che non vedevi da tanto tempo e di come tua nonna vestisse stravagante. Di quanto ti mancassero i tuoi amichetti e le strade della città dove hai vissuto da piccolo, però fa niente, Palermo ti piaceva tanto, dicevi, la gente era gentile con te. Alcuni un pò meno.
Ci hai parlato della scuola che frequentavi a Ballarò, dei tuoi compagni di classe e di quanto avessi sonno. Perché tu dopo la scuola e i compiti uscivi a vendere le cover dei telefonini. Lo dicevi senza cercare di commuoverci, con un sorriso che occupava tutto il tuo volto e metteva in evidenza la tua magrezza. Senza che tu potessi vedermi ho sfilato la cover dal mio telefono e ti ho chiesto di mostrarmene qualcuna. Ne ho scelta una bellissima, intagliata e colorata, e subito dopo mi hai regalato un ciondolo di plastica giallo e blu. Nel frattempo anche gli altri avevano comprato qualcosa, nulla di che, ma la tua spontaneità era così bella che sono certa la percepirono tutti. Ti hanno chiesto di dove fossi, e tu ci hai detto che non sapevi rispondere perché eri andato in così tanti posti che non sapevi scegliere.
Sei andato via con il sacchetto poco più leggero.
Ahmed, ti ho incontrato poche volte ancora e poi sei sparito, o forse sei cresciuto e non somigli più a quel ragazzino gracile e spigoloso, forse mi sei passato vicino altre volte e neanche tu mi hai riconosciuta, magari ti sei scordato, e non te ne faccio una colpa. Forse sei andato in un altro posto e hai recuperato il sonno perso in quegli anni, non saprei, ma avrei voluto dirti che anche io mi sono trovata tante volte in un angolo a toccarmi il collo e a fissare il pavimento. Tante volte. E se crescendo non l'hai ancora imparato, imparerai comunque, come me, che in tutto quel casino di gente qualcuno prima o poi ti vede. Potrà non diventare tuo amico, potrà approfittarsi della tua fragilità momentanea, potrà sorriderti complice, o potrà semplicemente rimanere dov'è. E tu potresti non accorgerti di tutte queste risposte, ma non sarai mai invisibile del tutto.
Imparerai o lo hai già fatto, che tutti stiamo salendo una scala, che qualcuno nasce nel gradino più basso, qualcuno al centro, qualche altro ancora quasi in cima, e che questo non conta, perché siamo tutti in grado di risalirla, e che chi sta in fondo si stancherà tanto, ma avrà visto e imparato altrettanto.
Imparerai alla fine, che le cose a cui siamo più legati non sono in grado di trattenerci in alcun posto, perché non sono cose e non pesano niente.
Arrivederci Ahmed.
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