(Il Golfo di Palermo dal finestrino. Novembre 2016) |
Vivere in un'isola, per quanto grande possa essere, ha i suoi pro e i suoi contro.
Ho scoperto di vivere in un'isola in prima elementare, durante l'ora di Geografia. La maestra ci fece cerchiare la Sicilia con una matita rossa, mentre con quella verde la penisola italiana. Forse qualcuno le chiese perché, non ricordo. Quando tanti anni dopo ritrovai quella cartina, durante una pulizia generale del garage, ricordo che restai zitta per un po' a riflettere. Rigiravo la cartina fra le mani con uno strano nodo al petto. Ovunque mettessi quella cartina, in qualsiasi posizione la piazzassi, mi sembrava che quei due cerchi fossero una sottile forma di ingiustizia. Sapevo e so bene che le intenzioni della maestra fossero diverse: voleva spiegarci la differenza tra Stato e Regione, collocarci concentricamente in due posti a cui apparteniamo, mostrarci i confini.
Probabilmente se quel cerchio fosse stato fatto in Liguria, nel Lazio o in Calabria non mi sarei soffermata un attimo a riflettere su questa cosa. Perché sono regioni della penisola, tutte lì, vicine, danno un senso di unità soffusa.
Ma la Sicilia no, c'è il mare tutt'intorno. E non sapevo se quella condizione figurata volesse svelare qualcosa del nostro passato o presagire qualcosa del nostro futuro.
Non sapevo se quella innata dicotomia vicinanza-distanza significasse isolamento o indipendenza.
Se fosse un premio o una condanna. Non capivo se dal mare potesse arrivare qualcuno o qualcosa di buono, oltre al vento, oltre alle conchiglie e alle imbarcazioni di passaggio. Oltre alle cose che vengono e vanno, mi chiedevo se un'isola, se la mia isola, fosse destinata a far prigionieri o ad essere prigioniera della sua condizione. Qualcuno o qualcosa sarebbe rimasto?
Non sapevo se quella innata dicotomia vicinanza-distanza significasse isolamento o indipendenza.
Se fosse un premio o una condanna. Non capivo se dal mare potesse arrivare qualcuno o qualcosa di buono, oltre al vento, oltre alle conchiglie e alle imbarcazioni di passaggio. Oltre alle cose che vengono e vanno, mi chiedevo se un'isola, se la mia isola, fosse destinata a far prigionieri o ad essere prigioniera della sua condizione. Qualcuno o qualcosa sarebbe rimasto?
Ho pensato a tutte le volte che il mare mi aveva rassicurato, durante alcuni tramonti che sembravano fiumi di porpora in fiamme, e a tutte le notti che dalla costa avevo avvistato le luci silenziose degli aerei pieni di gente che andava chissà dove. Ho rivisto lo sguardo indefinito di tutte quelle persone al molo del porto, dove stavano andando? Sembravano così sole, e invece ho capito solo più tardi che c'è differenza tra l'essere soli e il voler stare soli.
Certe domande non puoi farle se non quando sei da solo, perché non è la risposta che conta, ma il fatto che tu sia riuscito a comporre finalmente la domanda.
Certe domande non puoi farle se non quando sei da solo, perché non è la risposta che conta, ma il fatto che tu sia riuscito a comporre finalmente la domanda.
Qualche anno fa, il mio prof di Filosofia Contemporanea, durante uno dei suoi tanti monologhi, disse che ogni siciliano convive con un grande dubbio, e cioè se amare o temere il mare lo circonda.
"...da lì sono arrivati i popoli che ci hanno conquistato, da lì sono arrivati i nemici e gli amici, da lì è sempre arrivato tutto."
Se arrivasse un'onda e spazzasse via tutto? Sembra galleggiare indifesa, non sai mai se sia un bastione o un castello di sabbia.
Allora un giorno raccontai di questa mia impressione ad un'amica. le mostrai la cartina, provavo a chiarire i miei pensieri con il solo risultato di confonderli ancor di più. Non riuscivo a coniugare pensieri e linguaggio. Mentre parlavo credevo di impazzire.
E lei non ha capito. O forse sì, solo che non sapevo spiegare neanche lei cosa le suscitasse quell'immagine.
Io ci penso ancora ogni tanto.
Quando sono in un qualsiasi aeroporto, in attesa di tornare a casa, e poi sull'aereo quando dal finestrino capisco che stiamo per arrivare, intravedo i campi, i monti, la costa scompigliata, e io riconosco subito la mia terra, perché non può essere confusa con nient'altro, e vedo i fari rovinati dalla salsedine che piano piano diventano più grandi, realizzo che quella sarà sempre casa mia, che avrò sempre un'isola su cui tornare, che se un giorno il mondo dovesse crollare noi potremmo salvarci, tutta quella bellezza potrebbe ritirarsi, chiudersi in un pugno e prendere il volo.
Spostarsi altrove.
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