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lunedì 9 aprile 2018

Tramontare









In Sicilia, al crepuscolo, quando il cielo è striato di colori, succede che il tempo e la mente rallentano.
Il pescatore socchiude gli occhi, ritira le braccia, mentre il sole scivola verso l'acqua, oltre il golfo dove il vento si è assopito, e le case che prima occupavano con i propri colori l'orizzonte diventano scure, sagome impenetrabili.

Accendo la sigaretta e penso a quello che ho fatto e a quello che non ho fatto ma avrei dovuto fare oggi. Un delicato cielo porpora e oro si riversa sul mare e la piana, ad ogni secondo è imprevedibile. Vermiglio e violaceo, come i lividi che la vita ti fa ogni tanto. Rosso lì in fondo, come le labbra di una donna che questa mattina ha attraversato la strada. Il sole ha le sembianze di un obolo che ad ogni tramonto scambiamo con le nostre aspettative. Cosa è, cosa è stato e cosa volevamo che fosse. Una capitolazione decisa ma senza fretta.

Da qui la sensazione è che tutto si sia arrestato per fissarlo, i passanti, le macchine, le imbarcazioni, le voci, non c'è niente che possa soverchiare quell'immagine.

Qualche rondine, un gabbiano appena visibile, i volatili sopra le antenne delle case intorno. 

é in questo momento che la gente dovrebbe chiederti "che hai fatto oggi?"

Si intravede la luna da qualche parte, i lampioni sono già accesi per strada, ma non è ancora buio.

Il sole scivola dietro i pendii, è quasi sera, è quasi tardi, e qui rimane ancora qualche colore da respirare e un sogno d'afferrare. 

- Come è andata?-

Oro e vermiglio si schierano sulle linee in fondo.

- Bene, credo che sia andata bene.-

Una mano stretta di nascosto ed è già sera.


domenica 8 aprile 2018

Sul treno regionale



(Stazione di Gole dell'Alcantara, foto scattata nel Settembre 2011)



Mentre il treno arrancava sopra i binari, sbuffavo. Mi sembrava avventuroso fuggire in treno, ma dopo due ore e mezza di viaggio, due cambi in stazioni desolate e due pacchi di cracker riversati nel sedile di fianco per via di curve estreme, la mia idea di fuga in treno era stata declassata da "entusiasmante" a "Vorrei non essere così idiota, devo smetterla di guardare film".

Il fatto è che era una calda giornata di metà maggio del 2010 e io ero letteralmente impazzita. Qualcuno mi aveva davvero fatto imbestialire e il mio concetto di romanticismo tormentato aveva bussato ai miei nervi con una certa insistenza, tanto che ero uscita da scuola con un'ora di anticipo e avevo guidato la mia Nissan fino alla stazione parlando con il vocabolario di greco.

"Dove si fanno i biglietti del treno?" avevo chiesto al tizio del bar.
 Mi aveva indicato se stesso.
Bene, mi ero detta, anche in Sicilia esistono i treni, allora.

Ero diretta a Palermo, a casa di mia cugina che non sapeva niente del mio arrivo, come del resto nessun altro sulla faccia della terra.

Ve l'ho detto, ho una fervida immaginazione e sono più irrazionale delle pubblicità a tradimento sul web.

Durante il viaggio, all'ennesima chiamata dei miei genitori, decisi di risparmiare loro un infarto.

"Ma dove sei che è pronto?!"
"Sopra il treno."
"Alessandra, DOVE SEI???"

Già la voce di mio padre somigliava più a quella di un giudice che ti sta dicendo che ti darà l'ergastolo, col cavolo che vedi il sole, andrai nella cella più gelida e buia dell'inferno.

"Papà, ho bisogno di staccare."

Se ci penso oggi, rido. Ero veramente convinta di soffrire come un cane ed era tutto realmente come nelle commedie. Ma ero maggiorenne, potevo allontanarmi da casa, mi dicevo. 

Mi sentivo come le protagoniste dei miei libri preferiti, eroine del popolo, tragicamente travolte da un destino avverso. 
Nel frattempo la Sicilia scorreva al di là dei vetri del vagone, unti di qualcosa. Distese di grano, la campagna deserta... come il treno, del resto.
Al primo cambio di treno ho pensato: vuoi vedere che sbaglio e torno indietro?
Invece una simpatica vecchietta si è avvicinata e mi ha chiesto quando arrivasse la coincidenza.
A me.
Neanche sapevo che esistessero i treni qui.
Stringeva un fazzoletto colorato tra le dita rugose, tossiva in continuazione, ma aveva lo sguardo gentile. Iniziammo a commentare il tempo. Nel marciapiede di fronte dei signori piuttosto avanti con l'età avevano raggruppato qualche sedia di plastica e un tavolino che un tempo doveva essere bianco e giocavano a carte scambiandosi qualche insulto. Briscola in cinque.
-Totò, a 'bbiare u carricu, u capisti? Ciuzzu è u cumpagno, viri cà fari e ioca!"

Quando fummo sopra il treno mi disse che stava andando a trovare suo figlio a Palermo.
"Un bel ragazzo" commentò sorridendo. 
Iniziò così ad elencare tutte le prelibatezze che gli avrebbe cucinato nei giorni seguenti.
Il controllore ci chiese di mostrare i biglietti con uno sbadiglio allegro. Avvenne tutto con una calma che provai a memorizzare.
Quanto è bella la mia terra.


Nel frattempo io fantasticavo. Il treno andava lentamente, tra gallerie e campagne irrisolte, e riaccendeva in me ogni curiosità per lo spazio circostante. Dall'aereo era sempre stato diverso, perché smettevo di guardare fuori dal finestrino dopo il decollo, come se la cosa non mi riguardasse. Ma sul treno no, mi sembrava che tutto si rivolgesse a me, la mia terra, così stramba e goffa, era come se ne stessimo parlando faccia a faccia, di tutto. Agli argini erbosi delle stradine sembrava che sostasse una parte remota di me stessa che aveva già calpestato quei fiori e conosceva la strada. Quei paesaggi che si ripetevano, l'inconfondibile gobba delle colline e la lentezza delle pale eoliche che spezzavano l'aria e tagliavano il sole, era tutto così lento e irripetibile nella sua sostanza. Al prossimo viaggio la strada sarebbe stata la stessa e il viaggio sarebbe stato diverso. 
Oziavo con la fronte contro il sedile, uno strano senso di incontrollato entusiasmo, il fischio, la stazione. Scivolava come una coperta di seta. Ho avvertito caldo e freddo.

I treni non passano solo una volta, sì, è vero, spesso ritardano, ma passano ancora. Il punto è che pur essendo lo stesso treno, il viaggio sarà un altro. Prenderlo il 18 giugno o il 30 agosto cambierà qualcosa: cambieranno i vicini di posto, i passeggeri, il tempo oltre i finestrini, i colori dei campi, tu.
A volte i treni regionali sono troppo affollati e preferirai non salire. Il controllore un giorno sarà un uomo gentile, un altro un uomo scontroso, e anche questo potrebbe cambiare il tuo viaggio. Allora il punto non è prendere il treno giusto, ma prendere il treno al momento giusto.

mercoledì 4 aprile 2018

Le piazze umane










"Ni virremu a chiazza"

La piazza è un abbraccio, di pietra e balate, uno sprazzo di arte che i cornicioni dei palazzi trattengono dal cielo.

Mentre scivoli sui rivoli di vita e di voci, la musica è così vera che nessun musicista d'eccezione potrebbe ripeterla. Un labirinto di vie e finestre, ti portano lì, una piazza. Una piazza non sarà mai solo uno spazio, un posto, è un luogo di anime, di assenze presenti, c'è qualcosa per tutti: vecchi, bambini e adulti, sognatori, ubriaconi, innamorati, arrabbiati, ballerini, sognatori, malinconici e speranzosi, gente che non ha mai condiviso nulla se non quei luoghi,la stessa vernice, le stesse panchine, gli stessi lampioni, la luce, certi cieli bui, certe note. Gente che non ha mai voluto incontrarsi, eppure sullo stesso marciapiede, lo stesso coro, una birra diversa, i bicchieri che si frantumano, qualche braccio distratto, le cicche sparpagliate, l'odore del cibo, e qualche sogno indefinito oltre alle pareti.

C'è silenzio o si abbannìa.
Ci si sdraia, si balla, si canta, si scappa, ci si ritrova o ci si perde, naufraghi e comandanti, generali liberi, smarriti.

Adagi ricordi di spensieratezza, di sana follia, quanto vorrei vivere in una piazza che non porta da nessuna parte ma dove tutti possono arrivare. 

La protesta, la rivendicazione, il vagito di insensate resistenze che possono sciogliersi in una notte. Una piazza liquida, guarda dritto, guarda in alto, non fa niente se cadi, qualcuno ti raccoglie.
Quelle vite nascoste dalle piazze. Le piazze che scopri all'improvviso, i ballerini di tango quando sfiorano la notte e volteggiano sotto le chiese, la chitarra di uno sconosciuto, quando le saracinesche dei locali si abbassano e vicino la fontana qualcuno balla, quando la vita è deserta e quel vecchietto si lecca le dita per sfogliare meglio il giornale, su quella panchina sbiadita e sbilenca, quando il marciapiede è più comodo del divano e inizi a parlare di cose che poi ti sfuggono, la risata fragorosa del gruppetto lì in fondo, l'alba, se fa freddo, se fa caldo. Se cammini o se stai fermo. Quanta vita scorre nelle piazze, quanti sguardi si confondono.

Le piazze umane.

Quando vuoi conoscere una città cerca le sue piazze, stacci un giorno, o una notte, attraversale e fatti attraversare. Che la vita si annida lì.





martedì 3 aprile 2018

Il futuro nella lingua siciliana


(Copertina del libro " Gattopardo" di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, 1958)



"...Cosa vi hanno detto della storia? Che è lineare, che è progresso, che è un continuum dove individuare passato, presente e futuro. Vi hanno detto questo, è scritto in tutti i testi e voi l'avete sempre pensata così. Ma voi siete siciliani, parlate almeno due lingue, una è l'italiano, e si spera che almeno quello lo conosciate bene, e la seconda è probabilmente il siciliano. Adesso, se doveste rispondere alla domanda " Cosa farete domani?" e parlaste in italiano correttamente, voi rispondereste "Domani andremo....o faremo...", insomma usereste il tempo futuro. Adesso ditemi come rispondereste in siciliano."


Un pomeriggio di tanti anni fa il mio professore tenne una lezione alquanto singolare. Eravamo pochissimi e fuori la pioggia travolgeva le strade.

Scarabocchiavo il bordo del mio quaderno senza guardarlo e ogni tanto controllavo l'orario. Altre due ore. Dannazione. 

Nessuno rispose e lui ci incalzò con uno sguardo esasperato.

Non vado molto fiera della mia pronuncia siciliana, i miei amici mi prendono costantemente in giro per questo, ma quel giorno ero così annoiata che senza dopo qualche secondo abbozzai una flebile risposta.

"Non ho sentito!" ripeté il prof almeno tre volte.

"Dumani vaiu ddrà."

E ovviamente i poveri superstiti al mio fianco ridacchiarono senza pietà. Vabbè.. 

"Esatto! Che tempo ha usato?"

Stavo giusto per disegnare un grande roditore ai margini del foglio, quando lui tuonò a tutti polmoni "Il presente! Il presente."
Ventuno anni è troppo presto per avere un infarto, pensai.
Decisi di posare la penna e di ascoltarlo perché non avremmo sicuramente parlato di Hegel e questa era già una cosa rassicurante.
"Pensate alla lingua siciliana...sapreste formulare in siciliano una frase usando il tempo futuro?... Ve lo dico io, no. Non esiste."

Non ci avevo mai pensato a questa cosa. 

"... Non siamo forse in grado di parlare del futuro o di immaginarlo? Certamente. Ma è un futuro che si confonde, che non segue la linea, si mescola al presente. Può capitare. Non va troppo lontano, no, come potrebbe? Il tempo storico non è il tempo della natura. Sono due cose totalmente differenti, ma voi non ci avete mai pensato a questa differenza o al fatto che anche tra cento anni questo presente è e sarà già, nel suo avvenire, passato. Il futuro potrebbe essere uguale al vostro passato. Nel frattempo questo edificio sarà cambiato, certamente, le strade avranno qualcosa di diverso, forse sarà tutto diverso. ma questa è la storia, a volte vuota. La sostanza, cari miei, quella non muta. Esiste un tempo ribelle, e multidimensionale, in cui una linea dritta non si curva, ma permette a piccoli filamenti di staccarsi e di creare dei cerchi. Quei cerchi possono attraversare la linea in più punti, più e più volte. Se vogliamo che tutto rimanga com'è, bisogna che tutto cambi"

Uscii da quella lezione veramente confusa. Perché non usiamo il futuro? Perché pensiamo di non averne, o forse, perché siamo padroni del tempo?
La pioggia batteva incessantemente sull'asfalto, dei vecchi giornali si attaccavano ai marciapiedi, si spezzavano sotto il peso dell'acqua, un ticchettio, una distesa di ombrelli e i piedi degli sconosciuti tutt'intorno, eppure sembrava tutto sospeso. Mentre tornavo a casa la via Maqueda era una linea infinita verso i monti. Palermo non mi era mai sembrata così isolata e appannata. 

Qualche settimana dopo ero sommersa tra gli scaffali di una nota libreria in cerca di un libro ben preciso. 
"Mi ripete il titolo, per favore?" disse da dietro un grosso monitor posato su una specie di leggio.
"A presto, è di Michele Perriera."
"Uhm...guardi non lo abbiamo. Se guarda in quello scaffale lì dovrebbe trovare qualcosa dello stesso autore, ma non quel libro".

Io volevo quel libro a tutti i costi. Il prof lo aveva nominato durante la sua lezione e qualcosa mi diceva che avrei dovuto leggerlo. Perriera era siciliano.
Non so cosa successe esattamente, ma successe. Spulciai ogni angolo dello scaffale, davanti, dietro ogni libro, sopra, sotto, ed ad un certo punto, come nei film, un angolino blu scuro, le pagine ingiallite.
Era ancora prezzato con le lire. Diecimila lire.
Lo estrassi dallo scaffale con una strana sensazione di calore al petto. 
"Signorina, l'ho trovato! L'ho trovato!"
"Scusi?"
"Ho trovato quel libro, ma non c'è il prezzo in euro. Lo avete dimenticato forse, guardi, era qui dietro. Lo voglio comprare."

Alla fine lo pagai cinque euro, con una nota di fastidio e disappunto della signorina che non si capacitava di come fosse potuto accadere.
neanche io lo sapevo spiegare.

Cinque giorni dopo chiudevo il libro in silenzio e non sapevo se fosse inquietudine o bellezza.

In quel momento sentii di aver compreso le parole del prof.
La linearità non ammette scambi, è solo progresso. Evoluzione. Esiste il legame, ma è come le rotaie di un treno che non ripercorre mai la stessa strada e non consente ritorni. Si va dritto.

Nel nostro tempo multidimensionale invece il passato non ha una posizione di dominio e di controllo assoluto sul presente, ma è compreso in esso, tanto che il futuro non è altro che l'istante in cui il presente si risveglia e sorride timidamente, non il suo destino.