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domenica 29 luglio 2018

È Vucciria finchè le balate sono bagnate







Io non ho mai letto un libro su Palermo, un libro che spiegasse Palermo, la sua storia, i suoi usi, non ho mai acquistato una guida turistica.
Io Palermo l'ho conosciuta tra le sue strade e i suoi vicoli, nel trambusto delle sue piazze e tra le abbannìate dei suoi mercati, ho capito di amarla il giorno prima della mia laurea. Era luglio ed ero sdraiata sul divano a boccheggiare per via dell'afa e dalle finestre, quando ho sentito il fruttivendolo di sotto parlare a gran voce con la dirimpettaia del secondo piano e il signore dell'edicola rimproverarli.

"Mica siamo alla Vucciria, qui la gente riposa!"

Ed io ho iniziato a piangere piano piano, fino a singhiozzare. Non me ne sono mai vergognata, né mi sentirò mai  stupida per questo.

Ho trascorso a Palermo gli anni più belli della mia vita e non mi pentirò mai di averla scelta. Io me lo ricordo ancora quell'istante esatto in cui Palermo è diventata il mio destino: era estate e dovevo decidere in quale città studiare. Mentre tutti andavano lontano, in città ordinate e composte, io ho sentito di non poter rinunciare al mare, al chiasso, al dialetto, alla fame, alle cose complicate, al mio cuore.
Probabilmente altrove sarebbe stato più semplice, ma non sarei stata felice.
Palermo mi ha costretto spesso ad essere felice anche quando non c'era una ragione per esserlo, mi ha insegnato ad aspettare, a recuperare il cuore dalla gola, a cercare, andare sempre avanti, oltre alle stradine apparentemente brutte, mi ha insegnato che la bellezza reale si annida laddove nessuno la cerca. Quanto ho camminato! A piedi, in moto, in macchina, in treno, nei bus urbani, in bicicletta, l'ho percorsa tutta, mi sono seduta a guardarla. Mi sono innamorata di Palermo di giorno, la domenica, a mare, nei pomeriggi uggiosi, quando la pioggia mi sorprendeva all'improvviso, durante le sere di primavera, un attimo prima del tramonto su via Maqueda, nel bel mezzo dell'alba su Piazza San Domenico, e la notte, le notti in cui si balla stretti tra i vicoli, con la musica che sovrasta ogni respiro, e nessuno può sentirsi solo o lontano. Quelle notti in cui le balate del mercato della Vucciria non si asciugano e la gente s'impasta i piedi e le suole, una distesa di colori e di storie che si intrecciano dinanzi alla Taverna Azzurra, quando canti e balli in mezzo agli sconosciuti e ai passanti e improvvisamente è come se tacitamente tutti avessero accettato di essere diventati amici, almeno una notte. E le guerre di tutti si fermano, si sospende l'odio, il mondo non sembra poi tanto male. Le notti in cui l'odore della stigghiole avvolge tutto e non importa se hai fatto la doccia e dopo puzzerai, quell'odore in piazza Caracciolo, quella musica nel vicolo, non ti lasciano andare. Chiasso. E su, su via Roma, il mondo non ne sa niente.


"Non ho mai visto nulla del genere, cosa è esattamente?"

Una bellezza contaminata da bruttezza, una Palermo, questo, signora, può essere tutto: può essere un non-tempo, un non-luogo, una festa, oppure stasera può essere tutto quello di cui abbiamo bisogno.

Da quanti mostri invisibili mi ha strappato, da quanto silenzio mi ha salvato.

Finché le balate sono bagnate.